«Rosada (rugiada) è la prima parola della poesia di Pasolini, secondo un racconto mitopoietico dello stesso autore nel saggio Dal laboratorio (in Empirismo eretico). Anche in questo caso la scena ha tratti onirici, dominata dalla presenza del sole estivo che batte sul mondo umile dei contadini friulani.
Il giovane intellettuale diciottenne sta dipingendo o scrivendo, quando improvvisamente sente il suono della parola “rosada” pronunciata da un ragazzo che abita vicino. Nasce così l’amore per la lingua orale, insieme al tentativo di scrivere una lingua che non è mai stata scritta […] Quella parola era stata sempre solo un suono: “Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo mi interruppi subito: questo fa parte del ricordo allucinatorio. E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni: cominciai per la prima volta col rendere grafica la parola ROSADA» (M.A. Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Milano, Mondadori, 1998, p. 165).
Mentre dal piccolo mondo casarsese scaturisce l’ispirazione per una poesia dialettale, dal mondo universitario di Bologna nasce l’amore per l’arte, acceso dalle ispirate lezioni di Roberto Longhi, autentico riferimento intellettuale per il nemmeno ventenne Pasolini e influenza fondamentale per l’impianto figurativo della sua successiva opera cinematografica.

Contesto storico

Il 22 luglio 1941, senza dichiarazione di guerra preventiva, la Germania nazista aggredisce la Russia di Stalin.
Il dittatore comunista non aveva voluto credere alle soffiate delle sue spie: si fece dunque cogliere nella più totale impreparazione, permettendo alle equipaggiatissime truppe tedesche di inanellare un successo dopo l’altro nei primi mesi dell’operazione. A fianco delle divisioni inviate da Hitler ben presto si aggiunsero contingenti provenienti da ogni parte d’Europa. Non mancò l’appoggio dell’Italia: Mussolini mise in marcia un Corpo di spedizione sin dal luglio ’41, per poi aggiungere nell’aprile dell’anno successivo altri due corpi che, sommati al primo, andarono a formare la tristemente nota ARMIR (Armata Italiana in Russia).
Malamente equipaggiate e private dei rifornimenti, le truppe italiane si trovarono a patire enormi sofferenze, incalzate nella steppa dalle divisioni sovietiche. Tra le file dell’esercito italiano si contarono, al termine della ritirata, più di 75.000 perdite. Nel 1949 a Cargnacco (UD) è stato edificato, su progetto dell’architetto friulano Giacomo Della Mea, un tempio dedicato alla memoria della tragica spedizione.

Letteratura

O ME DONZEL O me donzel! Jo i nas / ta l’odòur che la ploja / a suspira tai pras / di erba viva… I nas / tal spieli da la roja. // In chel spieli Ciasarsa / – come i pras di rosada – / di timp antic a trima. / Là sot, io i vif di dòul, / lontàn frut peciadòur, // ta un ridi sconfurtàt. / O me donzel, serena / la sera a tens l’ombrena / tai vecius murs: tal sèil / la lus a imbarlumìs.

O ME GIOVINETTO O me giovinetto! Nasco nell’odore che la pioggia sospira dai prati di erba viva… Nasco nello specchio della roggia. In quello specchio Casarsa – come i prati di rugiada – trema di tempo antico. Là sotto io vivo di pietà, lontano fanciullo peccatore, in un riso sconsolato. O me giovinetto, serena la sera tinge l’ombra sui vecchi muri: in cielo la luce acceca.
(P.P. Pasolini, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 2003, p. 13)

Pittura

In una lettera del luglio 1941 indirizzata a Luciano Serra, Pasolini scrive: «Ho fatto un numero abbastanza denso di disegni ed un quadro (il mio migliore) intitolato “Estate velata”: non si tratta di allegorie, ma di un puro e semplice paesaggio un po’ alla De Pisis» (N. Naldini [a cura di], Pier Paolo Pasolini. Lettere 1940-1954, Torino, Einaudi, 1986, p. 54). Nell’agosto dello stesso anno, in un’altra missiva destinata ancora una volta all’amico Serra, aggiunge: «Io leggo poco, dipingo molto in compenso: 6 quadri finora, di vario valore, di cui almeno due mi sembrano buoni: i miei migliori. Ho raggiunto una tavolozza mia, ed anche una mia maniera.
Spero di continuare su questa maniera senza stupidi mutamenti da dilettante» (Ivi, p. 70). Fondamentale per l’affinamento tecnico di Pasolini fu il pittore sanvitese Federico De Rocco, già allievo di Bruno Saetti all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Tale fu la passione del nostro per l’arte che un saggio sulla pittura italiana contemporanea doveva costituire la sua tesi di laurea; il manoscritto tuttavia andò perduto nei caotici giorni successivi all’armistizio dell’8 settembre ’43. Nel dicembre del 1974, sulla rivista «Bolaffi Arte» (n. 45), tentando un bilancio sulla sua esperienza pittorica, dichiarerà: «la mia pittura è dialettale».

Sport

Nel luglio del 1941, in una lettera a Luciano Serra, Pasolini scrive: «Non leggo molto; molto meno di quel che mi ripromettevo; in compenso la mia vita empirica è molto varia e bella. Ho giocato, con discreta abilità, ala sinistra col Casarsa avendo perso 4-0 con Azzano Veneto. Domani, domenica partita con Camino» (N. Naldini [a cura di], Pier Paolo Pasolini. Lettere 1940-1954, Torino, Einaudi, 1986, p. 61).
La passione per il calcio del poeta è notoria e conosce la sua prima manifestazione a quattordici anni, quando abitava ancora a Bologna. Nel dopoguerra, in Friuli, è tra i promotori della fondazione della Società Artistico Sportiva Casarsa e dell’Unione Sportiva Sangiovannese. Negli anni Sessanta contribuisce alla nascita della squadra “Attori e cantanti”, poi confluita nella Nazionale dello Spettacolo di cui fu a lungo capitano. Leggendaria la partita che vide opporsi le troupe di Salò o le 120 giornate di Sodoma e Novecento di Bertolucci nel 1975: su questo episodio nel 2019 Alessandro Scillitani e Alessandro Di Nuzzo hanno realizzato un documentario intitolato Centoventi contro novecento.